Non c’e’ piu’ una Basilicata, ma tante bellissime Basilicate

Leggendo il Rapporto Migrantes, mi piace pensare che ci sono tante Basilicate. C’e’ quella Madre e poi ci sono le altre sparse nel mondo che nei secoli e negli anni si sono arricchite di contadini, muratori, panettieri, barbieri, camerieri, cuochi, professori, ingegneri, avvocati, esperti di design, ricercatori, manager, cantanti, attori, musicisti, nuotatori, calciatori, pugili, corridori, poeti, scrittori, politici e cosi’ via. Quante belle Basilicate ci sono in giro per il mondo. Le trovi unite intorno ai tavoli delle tanti associazioni lucane nel mondo. Le trovi in luoghi remoti dove un lucano o una lucana ritrovano la Madre in luoghi lontani, scarsamente abitati, magari popolati da mucche chiazzate che ricordano i pascoli lucani. Forse e’ giunto il momento di realizzare, come folgorati dalla luce della ragione o della passione, decidete voi, che ci sono tante Basilicate e ce ne saranno ancor di piu’. Ci sono le Basilicate di quelli andati via. Ci sono poi le Basilicate dei figli di quelli andati via. Ci sono poi le Basilicate di quelli che cercano la loro lucanita’ perche’ il nonno lo era in pieno. Ci saranno Basilicate lontanissime, ma allo stesso tempo vicinissime e non perche’ le tecnologie mi porteranno nella Metaverso Basilicata dove incontrero’ quelli della Basilicata, ma perche’ la Basilicata e’ dentro di noi anche se non possiamo vedere il tramonto dietro la montagna mentre che l’ultimo campanaccio della mucca emette il suo richiamo alla fine della giornata. Facciamocene una ragione. Non danniamoci di queste sempre piu’ abitate Basilicate. La Basilicata e’ sparsa ovunque. Chiamatela pure diaspora lucana, se volete, ma ci spalmeremo sempre piu’ sul pianeta e domani nello spazio. Ci ritroveremo ad Agosto per raccontarci le storie e le leggende mentre la musica scoppia, la salsiccia saltella sulla brace, l’ultimo filo di provolone cade giu’ ed il vino paesano ti fa sentire davvero vivo.

La prigione del ricordo

Ho avuto un infanzia meravigliosa. Persone e luoghi picernesi degli anni fine settanta ed inizi ottanta sono scolpiti in marmo nella mia memoria. Non andranno mai via. Sono per me un luogo di rifugio quando la vita mi tormenta. È una radice impossibile da sradicare, ma anche una prigione da cui è difficile fuggire. La radice falsifica la percezione della realtà. Vorresti tornare a quei giorni, ma lo sai che non è possibile. Tutto scorre e tutti scorrono. È giusto che sia così. Ed allora vado a rifugiarmi in montagna e mi rivedo con tutti quei pastori e quelle donne che giravano intorno a me da piccolino. Eccoci! Vedete! Il ricordo m’incatena di nuovo. E da questa prigione non puoi avere il senso della realtà in pieno. Il galloitalico all’estero vive in una nebbia foltissima che fa vedere poco e fa immaginare tanto. E quanto si azzarda a dire la sua su questo e su quello, immediatamente pensa che non è il caso. Il galloitalico all’estero davvero conosce la vita di Picerno nel 2023? Non la conosce e questa consapevolezza lo tormenta. È davvero inguaiato questo galloitalico all’estero! Ascoltarlo è un gesto di solidarietà, un modo per diradare la nebbia per qualche secondo.

Giornalisti lucani celebrate i lucani in Lucania

Sinisgalli cosi ricordava i lucani all’estero:

“Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Dove arriva fa il nido, non mette in subbuglio il vicinato con le minacce e neppure i municipi con le rivendicazioni.” 

E continuava, descrivendo questi individui tranquilli, lavoratori, e generosi. Se invece leggiamo i giornali cartacei – per quello che di carta e’ rimasto e rimarra’ – ed i giornali on-line lucani, sembra che il nostro amato lucano all’estero si sia stancato di stare nascosto e brilla in ogni dove, illuminando citta’ in ogni angolo di questo pianeta. Quasi ogni giorno c’e’ chi vince un premio in capo al mondo e chi conquista ruoli prestigiosi all’altro capo. Durante i miei primi anni all’estero, la descrizione di Sinisgalli m’infastidiva. Volevo essere visto. Oggi, Sinisgalli mi va a pennello. Invece il continuo elogio di questi geni di lucani all’estero mi irrita. Lasciateli stare i lucani all’estero. Se abiti a New York, Londra o Berlino e fatichi con passione, vedrai che il ricco contesto di queste citta’ – e ricco non solo in termini monetari – ti fara’ raggiungere grandi risultati. Carissimi giornalisti lucani celebrate i lucani in Lucania. La Lucania necessita’ di autocelebrarsi e noi lucani all’estero vogliamo tornare in una Lucania ambiziosa, anche un po’ arrogante, invece di crogiolarci in ricordi e disperazioni varie.

“L’Alfiere” di Carlo Alianello – Uno dei miei testi essenziali di letteratura meridionale

Lascerei alla profondita’ degli studiosi di letteratura meridionale ed alle capacita’ d’analisi dei critici letterari di stendere una lista dei testi piu’ belli e significativi della letteratura del Sud per il Sud, pero’ ci rimarrei male se in quella lista non ci fosse “L’Alfiere” di Carlo Alianello. Ritengo che ogni persona del Sud Italia dovrebbe averlo letto almeno una volta. Poi, a noi lucani, l’autore concede uno spazio particolare: tre capitoli interi ambientati a Tito. Tre capitoli che raccontano Tito, e con esso un qualsiasi altro paese della Basilicata, nel periodo dell’arrivo dei garibaldini, della scesa dei piementosi, della fine del Regno di Napoli e l’avvento dell’unita’ d’Italia. L’autore mostra un attenzione speciale a Tito. Viene fuori una realta’ viva, legata alla tradizione, ma anche ansiosa di futuro. E’ uno spaccato bellissimo ed intenso di vita di un paese lucano in un periodo di trasformazione drammatica come il passaggio dal Regno di Napoli al Regno d’Italia. Dovrebbe diventare lettura quasi obbligatoria nelle scuole secondarie della Basilicata.

Storia non vera – La Fondazione

La neve cadeva copiosa sulle palizzate di legno di faggio poste a difesa della piccola città di Acerrona. Gneus e Proculus stavano svegli ai due bordi della grande porta. Poi si muovevano per sconfiggere il freddo che gli saliva dalle ginocchia bloccandogli il corpo. Era stata una lunga notte. Erano incredibilmente stanchi, ma sempre con gli occhi aperti, pronti a dare il segnale d’allarme se qualcosa, pur minimo, si fosse mosso tra la fitta nebbia di fiocchi cadenti.

“Occhi aperti…tutta la notte!” aveva detto il comandante. “Potrebbero arrivare da un momento all’altro.” Ma chi poteva arrivare? Nessuno lo aveva spiegato bene, forse perchè nessuno li aveva mai visti. Si chiamavano cartaginesi. Arrivavano su animali enormi. Esseri mai visti prima! Gruppi di uomini viaggiavano sulla groppa di questi animali incredibili. Alcuni dicevano che non erano umani, ma mostri con mani lunghe, occhi rossi come il fuoco ed ali come aquile. Si lanciavano in picchiata dagli enormi animali lanciando frecce infuocate più veloci di quando un falco cade sulla sua preda. Poi scendevano sulle vittime e le prendevano, proprio come un falco, portandole chissà dove. Si diceva che non avessero nessuna pietà. Avevano raso al suolo città e villaggi. Avevano ucciso donne, vecchi e bambini. Non erano uomini! Erano bestie!

Qui la storia fantastica, di storico c’è ben poco, dovrebbe concludersi con la sconfitta di Acerrona da parte delle forze di Annibale, che si rivela molto umano e poco bestia, la fuga nei boschi dei sopravvissuti di Acerrona, che dopo una serie di fantastiche avventure in montagne magiche, si ritrovano su tre colline a dirsi che questo è un buon posto per aver casa ed un futuro. Questa nuova casa sarà Picerno. Badate bene, e’ fantasia. Si narra che siamo nati cosi, poi mille e piu’ anni dopo sono arrivati immigrati dalla Provenza, per questo ci ritroviamo a parlare questo dialetto galloitalico, e poi chissa’ quanti altri sono venuti in epoche successive. Insomma siamo figli di esuli di guerra ed immigrati. Dovremmo rifletterci sopra di questi tempi.